Il Figlio di Saul

Il Figlio di Saul

- in Film 2015, Recensioni
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Saul Ausländer (Géza Röhrig) fa parte dei Sonderkommando di Auschwitz, i gruppi di ebrei costretti dai nazisti ad assisterli nello sterminio degli altri prigionieri. Mentre lavora in uno dei forni crematori, Saul scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere come suo figlio. A quel punto decide allora di tentare l’impossibile, ovvero salvarne le spoglie e trovare un rabbino per seppellirlo. Ma per farlo dovrà voltare le spalle ai propri compagni e ai loro piani di ribellione e di fuga.

Si può rappresentare l’orrore? È il quesito alla base di un annoso dibattito che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale accompagna ininterrottamente i variegati tentativi e le relative modalità di rappresentazione dell’Olocausto, allargandosi naturalmente anche alle opere su schermo. A questo proposito, in linea con il pensiero di Adorno (il quale sosteneva che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro, e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”), anche Claude Lanzmann ritiene che ciò non sia possibile attraverso ricostruzioni perché la memoria può esistere unicamente nella diretta testimonianza, come accade infatti nel suo celebre ed imperdibile documentario Shoah; eppure, di fronte a Il Figlio di Saul, persino il celebre documentarista pare aver tuttavia ammorbidito la sua posizione (da sempre di un’intransigenza affine a quella di Rivette, il quale a suo tempo criticò fortemente Kapò di Pontecorvo affermando appunto che “le carrellate sono una questione morale”), arrivando invece in quest’occasione a parlare del film come di una sorta di “anti Schindler’s List”, definizione che per lui ha il valore di un encomio. E in effetti, questo straordinario esordio nel lungometraggio dell’ungherese regista László Nemes (il quale, già assistente di Béla Tarr, l’ha anche co-sceneggiato insieme alla scrittrice francese Claura Royer) affronta il tema dell’Olocausto con un approccio e un’efficacia decisamente personali nonché pressoché inediti. Non a caso, un altro significativo elogio, più affine all’opinione di Godard (il quale invece sosteneva che il cinema, seppure o forse proprio perché segnato da tale orrore, dovesse tentare di offrire un’opportuna rappresentazione) è poi arrivato dal filosofo George Didi-Huberman, che infatti (da sostenitore di un ricorso alle immagini sempre possibile o perfino necessario) in una lunga lettera al regista ha lodato il suo tentativo di rivelare il non mostrabile. Perché nel tallonare perennemente il protagonista (interpretato dal poeta Géza Röhrig, qui al suo debutto come attore) inquadrandolo con ravvicinati primi piani e lunghi piano-sequenza, l’autore lo stringe in un opprimente formato 1.37:1 spesso quindi occupato quasi interamente dal suo giustamente impenetrabile volto, lasciando così soltanto intuire la terribile realtà attorno a lui: la stessa è infatti lasciata appunto sullo sfondo o fuori campo, facendo in modo (attraverso efficaci giochi di fuochi e accorti ricorsi al sonoro, il tutto combinato in un quasi annullamento della profondità di campo) che si possano appunto soltanto percepire o al massimo udire le camere a gas, i roghi di cadaveri, i lamenti di terrore e disperazione. In ciò, rifiutando così ogni concessione spettacolare non solo a livello stilistico ma anche sul piano delle implicazioni etiche della vicenda, affidando infatti coraggiosamente il punto di vista ad un personaggio impegnato a riscattare nel trattamento civile della sepoltura l’abominio di cui è insieme vittima, complice, testimone, Nemes si inserisce appunto di diritto nella succitata discussione sull’etica con un tono e una potenza che lasciano il segno. Non stupisce quindi affatto che in molti abbiano ammirato ed elogiato questo film sorprendente, durissimo e meritatamente vincitore di numerosi riconoscimenti internazionali (tra cui il Gran Premio della Giuria a Cannes e l’Oscar come miglior film straniero), arrivando giustamente a riconoscerlo come un’opera davvero memorabile in quanto capace di raccontare la Shoah in una maniera mai vista prima.

Il Figlio di Saul
Il Figlio di Saul
Summary
"Saul Fia"; di László Nemes; con Géza Röhrig, Levente Molnar, Urs Rechn, Todd Charmont, Sándor Zsótér, Marcin Czarnik, Jerzy Walczak, Uwe Lauer, Christian Harting; drammatico; Ungheria, 2015; durata: 107'.
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