Il Posto delle Fragole

Il Posto delle Fragole

- in Anni 50, Ingmar Bergman, Recensioni
0

L’anziano ed illustre professore Isak Borg (Victor Sjöström) parte in auto con la riluttante nuora Marianne (Ingrid Thulin), con la quale ha un rapporto conflittuale, per recarsi all’università di Lund, dove gli verrà consegnato un importante riconoscimento onorario in occasione del cinquantesimo anniversario della sua attività professionale. Segnato da lontani ricordi e da una serie di incontri, il viaggio diventerà per lui un’inaspettata occasione per rievocare la propria esistenza e riconsiderarne il valore.

È uno dei più alti e rappresentativi risultati nello sfolgorante itinerario del maestro Bergman, il quale, non ancora quarantenne e in un periodo di florida attività (reduce da un altro capolavoro come Il Settimo Sigillo e nel frattempo anche molto impegnato a teatro) realizza quello che resta uno dei più lucidi e struggenti ritratti della vecchiaia mai portati su schermo. Un tema complesso e delicato che il maestro svedese snoda con coinvolgente incisività in quello che paradossalmente è anche uno dei suoi film meno oscuri e pessimisti, fondato piuttosto su un comunque affine e personale discorso sul tempo introdotto per mezzo di una serie di metafore visive fin dallo straordinario prologo in forma di incubo: un incipit folgorante che, attraverso il ricorso ad un triplo espediente narrativo (ovvero l’unione tra flashback, voce-off e, appunto, incursione onirica), da subito sancisce la virtuosa cifra stilistica che caratterizza l’intera opera, facendo inoltre da spia ad una serie di elementi ricorrenti che, insieme a richiami autobiografici e riferimenti alti (dai succitati sogni kafkiani al disorientamento freudiano fino al tempo perduto di Proust) la animano e cadenzano con grande efficacia; perché, pur procedendo successivamente in maniera pressoché lineare, la narrazione che segue il viaggio del protagonista resta appunto intervallata da altri sogni e allusioni, richiamando il tema del “doppio” intrecciato a quello della memoria, veicolano pregnanti argomenti da sempre cari all’autore, da quello centrale della morte passando per le usuali incomprensioni familiari alla Strindberg fino alla “maschera” che cela realtà e dolori da affrontare. Infatti, la fermata per incontrare la madre (ancora in vita ed attiva ma sempre arida e distaccata) riconduce al ricordo di un collega che gli parla il valore del perdono, pensiero che a sua volta contribuisce all’elaborazione del sentimento per la moglie fedifraga, rievocato anche dallo scontro con una coppia matura e litigiosa che si contrappone all’incontro con un terzetto di giovani composto da due ragazzi e una fanciulla: se ai primi è affidato un connesso discorso sull’esistenza del divino (altra costante nel cinema di Bergman), la ragazza fa invece tornare alla mente di Isak il suo vecchio amore per la bella Sara (non a caso interpretata dalla stessa attrice, ovvero Bibi Andersson), anch’essa al centro di un triangolo in cui lo stesso protagonista fu coinvolto, altro episodio chiave snodato attraverso visioni e/o flashback, pur di diverso registro arrivando talvolta a confondere il punto di vista. È il mosaico di una vita che il grande autore svedese ricompone confondendo memorie e realtà con uno stile puntualmente rigoroso eppure incredibilmente versatile e limpidamente avvolgente, rendendo lo spettatore partecipe di un vero e proprio viaggio nell’io le cui tappe e deviazioni diventano parentesi introspettive e la cui destinazione coincide con un’inaspettata redenzione (tema già presente nel succitato Il Settimo Sigillo); infatti, questa sorta di atipica autoanalisi “on the road” diventa per Isak un’inaspettata quanto catartica occasione per fare il bilancio di un’intera esistenza per riesaminarne finalmente gli effetti sul prossimo anche attraverso una riconsiderazione del peso degli affetti concessi, negati o mancati (se pazienti e conoscenti lo elogiano come filantropo, amici e familiari lo ritengono invece egoista): perché alla malinconia e alla solitudine scaturite dal confronto agrodolce con una vita passata si può comunque ancora far fronte tornando in quel “posto delle fragole” che da ricordo di giovinezza diviene un luogo dell’anima dove rifugiarsi per sentirsi placati, accettando l’ineluttabilità della morte come anche il peso del tempo trascorso e trovando così una ragione per trascorrere con più disponibilità e serenità quello che invece ancora rimane. Sorretto da un’intensa e partecipe performance del veterano Sjöström, questo indimenticabile ed imperdibile capolavoro contribuì a cementare il successo di Bergman anche a livello internazionale, ottenendo non a caso numerosi riconoscimenti importanti: tra questi, oltre a una candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, spiccano soprattutto il premio della critica al festival di Venezia, l’Orso d’argento a Berlino per la miglior regia e un Golden Globe come miglior film straniero (ex aequo con Orfeo Negro, La Chiave, Il Ponte e Finalmente l’Alba).

Il Posto delle Fragole
Il Posto delle Fragole
Summary
“Smultronstallet”; di INGMAR BERGMAN; con VICTOR SJOSTROM, BIBI ANDERSSON, MAX VON SYDOW, INGRID THULIN, GUNNAR BJORNSTRAND, BJORN BJELFVENSTAM, GUNNEL BROSTROM; drammatico; Svezia, 1957; B/N; durata: 91’;
100 %
Voto al film
User Rating : 0 (0 votes)

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

AlphaOmega Captcha Cinematica  –  What Film Do You See?