Senso

Senso

1866. Durante gli ultimi mesi dell’occupazione austriaca del Veneto, alla vigilia della terza guerra d’indipendenza, la contessa Livia Serpieri (Alida Valli), che vive nel capoluogo con il vecchio marito timoroso della guerra, parteggia segretamente per i patrioti italiani. La situazione però cambia quando la donna s’innamora follemente del tenente dell’esercito nemico Franz Mahler (Farley Granger), che pare ricambiare il sentimento: infatti, accecata dalla passione e ignara che il giovane sia in realtà un vile in cerca soltanto del denaro per farsi esonerare dal servizio militare, Livia si dimostra pronta a sacrificare per lui i propri ideali di libertà, tradimento che porterà a conseguenze irreparabili.

Ispirato all’omonima novella (1883) di Camillo Boito, il quarto lungometraggio di Luchino Visconti si impose fin da subito come uno dei suoi lavori più controversi, scatenando accese discussioni su più fronti: a livello stilistico, i critici dibatterono a lungo sulla sua collocazione stilistica in relazione (come spesso accadeva all’epoca) alla corrente neorealista, di cui per alcuni rappresentava per certi versi un’evoluzione verso una differente e più aperta concezione di realismo mentre per altri una sorta di antitesi nella sua (pur indubbiamente notevole) spettacolarizzazione della vicenda; al contempo, non mancarono inoltre accese diatribe e polemiche anche sul piano politico: considerato disfattista dalle autorità, Senso (che non a caso si sarebbe dovuto originariamente intitolare “Custoza”, in riferimento alla celebre sconfitta italiana) divenne oggetto prima di drastici interventi censori (spingendo la produzione a tagliare diverse sequenze, tra cui quella in cui lo Stato Maggiore impedisce l’intervento dei patrioti civili) e in seguito di un boicottaggio che culminò in una clamorosa (quanto contestata) mancata premiazione al festival di Venezia (dove fu presentato in anteprima); eppure, nonostante tali traversie e ostilità, riscosse un grande successo di pubblico che contribuì ad aprire successive riflessioni sullo stato e sullo sviluppo del panorama cinematografico italiano e a rivalutare quello che in effetti resta uno dei dei più importanti film di Visconti. Anche co-sceneggiatore insieme a Suso Cecchi D’Amico, con la collaborazione di Carlo Alianello, Giorgio Bassani e Giorgio Prosperi (mentre Tennessee Williams e Peter Bowles elaborarono i dialoghi in inglese), il regista parte dalla novella di Boito per articolare, attraverso la vicenda dei due amanti maledetti che progressivamente sprofonda nella fatalità, un’inedita rilettura critica del tramonto di un’epoca e del relativo contesto sociale; perché, nel raccontare per la prima volta quella classe aristocratica da cui proviene e a cui si sente al contempo legato per retaggio e distante per ideali, Visconti rievoca il Risorgimento riversando tale personale conflitto in un sontuoso affresco che, tra rigore formale e passione civile, combina il tipico decadentismo del suo cinema con rivoluzionari valori progressisti. Così, attraverso un costante gioco di contrapposizioni (e di specchi, elemento non a caso ricorrente nel film), l’autore sublima tale consapevole inquietudine in una discesa nelle contraddizioni della Storia in forma di vibrante melodramma di passione e di morte la cui finale sconfessione del romanticismo rivendica tuttavia il lucido realismo di fondo; tutto ciò si riflette anche nella raffinata messinscena che, rifiutando i manierismi e l’oleografia del canonico film in costume, nella sua efficace ed armoniosa contaminazione tra ricostruzione filologica e riferimenti colti fa capo appunto ad una coerente mescolanza tra verità e finzione veicolata da una funzionale compenetrazione tra turgida magniloquenza scenica e ricercata stilizzazione teatrale: a tal proposito, oltre alle varie suggestioni pittoriche a livello visivo (da Hayez per la scena del bacio a Goya per la fucilazione, fino ai macchiaioli), cruciale è inoltre la componente musicale, con le arie del Trovatore di Verdi (da notare la memorabile sequenza d’apertura alla Fenice) che sfociano nella tesa e sofferente malinconia della Sinfonia n. 7 di Bruckner, rimarcando la progressiva fatalità in cui sprofonda la tragica relazione tra Livia (un’ottima, magnetica Alida Valli) e Mahler (nome che non casualmente richiama un altro compositore molto amato dall’autore). Notevoli i contributi tecnici, dalla scenografia di Ottavio Scotti agli splendidi costumi di Piero Tosi e Marcel Escoffier, fino alla determinante fotografia di G.R. Aldo (morto durante le riprese e sostituito dall’australiano Robert Krasker), con contributi di Giuseppe Rotunno (che in seguito tornerà a collaborare con Visconti per diversi film, tra cui l’affine capolavoro Il Gattopardo).

Senso
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Summary
id.; di LUCHINO VISCONTI; con ALIDA VALLI, FARLEY GRANGER, MASSIMO GIROTTI, RINA MORELLI, TINO BIANCHI, IVY NICHOLSON, SERGIO FANTONI, MARCELLA MARIANI, FRANCO ARCALLI, NANDO CICERO; drammatico; Italia, 1954; durata: 120’;
100 %
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