Umberto D.

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Roma. L’anziano e mite ex funzionario ministeriale in pensione Umberto (Carlo Battisti) trascorre un’esistenza difficile, dibattendosi tra problemi economici così gravi da faticare a sopravvivere. Caduto quindi in preda ad uno sconforto che arriva a spingerlo sull’orlo del suicidio, ritroverà la speranza grazie anche al suo fedele cagnolino Flaik.

In un’Italia uscita dal dopoguerra e avviata verso il boom economico, la rappresentazione senza infingimenti della dura realtà e delle conseguenze umane del conflitto non era più di richiamo per il grande pubblico, ormai invece orientato verso il più leggero intrattenimento dei sempre più diffusi film di genere e dell’esaltante divismo hollywoodiano (ma anche dell’incombente mezzo televisivo). Eppure, De Sica e l’assiduo collaboratore Zavattini decisero comunque di portare avanti un progetto in cui entrambi credevano fortemente, un’opera personale e significativa che, nella sua condizione di capolavoro sfortunato (in quanto, appunto, purtroppo incompreso alla sua uscita, non solo dal pubblico), resta una sorta di canto del cigno del neorealismo italiano ma anche, al tempo stesso, uno dei suoi maggiori pilastri. Giustamente considerato, appunto, tra i più maturi risultati del lungo e vincente sodalizio tra il regista e il succitato sceneggiatore (qui alla loro settima collaborazione), è inoltre uno dei più grandi e noti film sull’afflizione della vecchiaia, tema complesso e delicato snodato da De Sica attraverso una rappresentazione della società di cupa e struggente veridicità all’insegna di un radicale pessimismo di fondo che (più marcato rispetto ad altre sue opere) all’epoca non piacque nemmeno alle autorità: a questo proposito, fece scalpore l’intervento dell’allora sottosegretario Andreotti, che infatti definì la pellicola poco edificante, accusandola di offrire un ritratto troppo disfattista dell’Italia di quel periodo, giudizio a cui De Sica rispose affermando che la sequela di circostanze perennemente avverse che affliggono il protagonista non era da considerarsi alla stregua di un caso limite in quanto rispecchiava una reale eventualità nell’incostante esistenza dell’individuo comune. E in effetti, in quello che è forse il suo film più disperato (tanto da apparire a tratti perfino nichilista nella quasi sardonica denuncia degli impietosi meccanismi del potere incarnata dal corollario di personaggi di contorno), De Sica mette in scena un contesto di sofferenza e solitudine con cruda e disarmante lucidità, senza manipolazioni semantiche né concessioni alla retorica o al sentimentalismo ricattatorio: perché, coadiuvato dalla perfetta naturalezza degli interpreti rigorosamente non professionisti (a partire dal protagonista Carlo Battisti, accademico prestato al cinema), il regista trova piuttosto un più autentico coinvolgimento applicando in maniera esemplare la cosiddetta teoria del “pedinamento” tipica del neorealismo, ovvero cogliendo i più autentici comportamenti umani determinati da un particolare contesto (come dimostra anche la celebre sequenza del risveglio della giovane e comprensiva domestica Maria); così, nel favorire quindi una genuina identificazione attraverso un climax emozionale di trascinante sincerità (vedere ad esempio la straziante scena del tentato suicidio sventato dal cagnolino), De Sica torna a nobilitare gli emarginati elevando il personaggio di Umberto (così chiamato in onore del padre) a piccolo eroe del quotidiano che nella sua grande e commovente dignità resta ancora oggi latore di messaggi profondi e valori universali. Presentato in Concorso al festival di Cannes, nonostante l’insuccesso di pubblico il film ricevette una meritata candidatura all’Oscar per il miglior soggetto.

Umberto D.
Umberto D.
Summary
id.; di VITTORIO DE SICA; con CARLO BATTISTI, MARIA PIA CASILIO, LINA GENNARI, MEMMO CAROTENUTO, ALBERTO ALBANI BARBIERI, ELENA REA, LAMBERTO MAGGIORANI, RICCARDO FERRI, ILEANA SIMOVA; drammatico; Italia, 1952; B/N; durata: 89’;
100 %
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