This Must Be the Place

This Must Be the Place

- in Film 2011, Paolo Sorrentino, Recensioni
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L’eccentrico Cheyenne (Sean Penn), rockstar sulla cinquantina ormai ritiratosi dalla scene, decide di tornare a New York per la morte del padre, col quale aveva da tempo interrotto i rapporti. Arrivato a destinazione, scoprirà però che per tutta la sua vita quest’ultimo avrebbe voluto vendicarsi delle terribili umiliazioni subite nei campi di sterminio. Così, senza sapere se sta cercando a sua volta vendetta oppure una più ampia redenzione, Cheyenne decide di continuare la “missione” del genitore, avventurandosi attraverso gli States alla ricerca dell’ex criminale nazista colpevole dei crimini subiti dal padre…

Per il suo primo film anglofono, l’ormai affermatissimo Sorrentino compie un atto di coraggio e fa ancora centro, tornando al lucido intimismo degli esordi con quello che lui stesso ha giustamente definito come “il romanzo di formazione di un cinquantenne”: “This Must Be the Place” è la trascinante storia di un viaggio, il viaggio a due corsie nel passato e nel futuro di un protagonista la cui vita è ormai in una sorta di limbo esistenziale, intrappolata tra un passato che non riesce a dimenticare e un presente che non riesce a vivere; tra personaggi di magnifica eccentricità (l’inventore di trolley, il cacciatore di nazisti) e passaggi visivamente suggestivi ed evocativi, il percorso di Cheyenne parte da una tragedia assoluta come l’Olocausto per rincorrere un rapporto familiare e quindi personale, il tutto nella ricerca, prima negata e poi riscoperta, di un posto, un posto nel mondo e, soprattutto, un posto dentro di sé. Al centro di tutto, un inedito Sean Penn davvero eccezionale nel suo lavoro di recitazione per sottrazione: il suo rocker in ritiro, isolato, eccentrico e spaurito dal mondo, è un ritratto di antieroe solitario come pochi se ne sono visti ultimamente. Accanto a lui la strepitosa Francis McDormand, eccellente nel disegnare quello che forse è uno tra i più bei personaggi femminili nella filmografia di Sorrentino. Visivamente eccezionale, musicalmente travolgente (splendida la colonna sonora di David Byrne, il cui cameo nel film lascia il segno), dall’ispirato gusto citazionista e attraversato da un lirismo deliziosamente ironico e teneramente poetico, è un film animato da un gusto yankee che si pare rifarsi ai grandi “on the road” americani Anni ’60-‘70, (a questo proposito grande merito va alla splendida fotografia di Luca Bigazzi), adottando però un’efficace impronta personale in bilico tra classico, moderno e postmoderno: lo sguardo di Sorrentino, volutamente pervaso da un intellettualismo che riesce mirabilmente a non macchiarsi di autocompiacimento, è all’insegna di una sorprendente virtuosità, la cui impressionante perizia nel cogliere ogni dettaglio, ogni battuta, ogni gesto e ogni frangente estetico-stilistico è soprattutto un veicolo per filtrarne le vibranti e pregnanti emozioni intrinseche. Nonostante sia uscito senza premi al festival di Cannes, “This Must Be the Place” rimane uno dei più validi titoli dell’ultima Croisette: lirico e commovente, intimo e stravagante, intelligente e affascinante, è un film adulto che però sembra animato da un sentimento e una passione da giovani sognatori.

This Must Be the Place
This Must Be the Place
Summary
id.; di PAOLO SORRENTINO; con SEAN PENN, FRANCIS McDORMAND, EVE HEWSON, HARRY DEAN STANTON, JUDD HIRSCH, VAN PATTEN, DAVID BYRNE, KERRY CONDON, OLWEN FOUERE, SIMON DELANEY; drammatico; Italia/ Francia/ Irlanda, 2011; durata: 118’;
70 %
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4 Comments

  1. Senza dubbio è un film da non perdere. Ma non il migliore di Sorrentino. Mi aspettavo molto, invece mi ha un po’ deluso. Come ravviso anche sul mio blog, la pecca evidente sta nello scarto tra tecnica e contenuto, ovvero grande regia e fotografia a servizio di una sceneggiatura che sa di ammucchiata superficiale di situazioni, sensazioni, caratteri caricaturali…

    1. @ Onesto e Spietato:
      Concordo sul fatto che il film sia più valido a livello estetico piuttosto che sul piano contenutistico, ma tutto sommato, nonostante le tematiche a volte inciampino, a mio parere Sorrentino è riuscito a filtrarle con un meccanismo virtuosistico davvero ammirevole. D’altra parte, anch’io credo sia affrettato definirlo il suo lavoro migliore, anche se al tempo stesso penso rappresenti un punto molto importante nella sua filmografia.

  2. Già la possibilità data a Sorrentino di girare in America, con i soldi che un’operazione del genere permetteva, non poteva che incuriosire. Poi c’è Sean Penn che fa la ex rockstar, in cerca dell’assassino del padre, quindi risulta ancora più interessante. Senza contare la regia di Sorrentino.

  3. Detto che Sean Penn è di una bravura e che lo splendore visivo è indiscutibile, il film non mi ha entusiasmato come altri film di Sorrentino. Situazioni non del tutto comprensibili e personaggi di cui non si comprende appieno la presenza non facilitano il coinvolgimento…

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