The Grandmaster

The Grandmaster

- in Film 2013, Recensioni
1

1936. Costretto a lasciare il nord a seguito dell’occupazione della Manciuria da parte dei giapponesi, il maestro di arti marziali Gong Baosen (Wang Qingxiang) è costretto a trasferirsi a Foshan, nel sud della Cina. In occasione della cerimonia per il suo ritiro, lo raggiunge anche la figlia Gong Er (Ziyi Zhang), unica erede della letale “tecnica delle 64 mani” creata dal padre. È allora che la giovane conosce il maestro del sud Ip Man (Tony Leung): la loro attrazione reciproca non potrà però concretizzarsi, contrastata da fatali questioni d’onore e dagli imminenti eventi storici che separeranno i loro destini. Intanto, mentre il conflitto sino-giapponese e la guerra civile devastano il paese, i maestri si scontrano l’un l’altro: chi diverrà il successore di Baosen?

Reduce dalla sua prima incursione occidentale con il curioso “Un Bacio Romantico” (2007), sei anni dopo l’acclamato regista cinese Wong Kar-wai torna in patria con questo film imperniato sulla figura e le gesta di Ip Man (maestro di Wing Chun e mentore, tra gli altri, di Bruce Lee), già approdate in precedenza sul grande schermo, seppur in maniera differente, nella fortunata serie di Wilson Yip ma anche, più di recente, in “Ip Man: The Final Fight” di Anthony Wong. Frutto di una gestazione durata 8 anni, con mesi di riprese dedicate a singole sequenze e una travagliata post-produzione (un primo montaggio di 4 ore, ridotte poi a 130 minuti e in seguito a 120 in occasione del festival di Berlino), è un vasto e sontuoso affresco storico di taglio epico che, attraverso ellissi, allusioni e contrapposizioni, coniuga azione spettacolare e lentezze contemplative colme di profondità. Sostenuto da un apparato visivo di grande fascino nella sua ricercatezza formale d’altissima tenuta tipica del cinema di Wong Kai-wai (dai densi chiaroscuri della raffinata fotografia del francese Philippe Le Sourd, candidata all’Oscar insieme agli sfarzosi costumi di William Chuk Suk Ping, passando per le elaborate scene di battaglia in slow-motion sotto piogge torrenziali fino ai coreografici combattimenti del maestro Yuen Woo-ping, lo stesso di “Matrix”, “Kill Bill” e “La Tigre e il Dragone”), anche sul piano dei contenuti è un’opera che rimane peraltro assai in linea con l’itinerario dell’autore: infatti, lungo lo svolgimento si intrecciano appunto diverse tematiche care al regista, dallo scorrere del tempo al peso dei ricordi, dalla perdita all’oblio, fino alla mancanza e all’amore impossibile, mentre il rapporto interrotto e raggelato tra Ip Man e Gong Er ricorda inoltre quello centrale del memorabile capolavoro “In the Mood for Love”. In tutto ciò, a vent’anni da “Ashes of Time”, Wong Kar-wai torna inoltre a raccontare il kung-fu con un personale approccio inedito e ancora non convenzionale, mostrandone l’affascinante filosofia che sta dietro la tecnica: nelle arti marziali, l’abilità fisica (precisione e controllo dei movimenti) si coniuga all’etica (l’onore e il rigore morale), e i livelli di eccellenza corrispondono a quelli di crescita individuale e spirituale; per di più, specie in un contesto denso e determinante (un periodo di forti sconvolgimenti politici a causa dell’invasione nipponica che mise a rischio la stabilità del Paese), può in questo caso anche rappresentare una risorsa di evasione, nel tentativo di sopravvivere in un’epoca di tumulti; ma d’altra parte, anche se in definitiva (come afferma Ip Man in una delle sequenze iniziali) è tutta una questione di “orizzontale” e “verticale”, non è detto che chi resta in piedi, da vincitore, non possa essere al tempo stesso sconfitto interiormente (e viceversa): perché tra ricerca di valori e malinconici ricordi, vendette d’onore ed armoniosi movimenti che infrangono lo spazio, il tempo congela le anime in atmosfere claustrofobiche, riducendole a spettrali presenze dall’essenza lacerata. Non a caso, il film si chiude con un sogno oppiaceo alla Leone (con tanto di ricorso ad un celebre tema di Morricone romanticamente integrato nella colonna musicale composta dal grande Shigeru Umebayashi con il francese Nathaniel Mèchaly e l’italiano Stefano Lentini), a seguito della conclusione definitiva e mortuaria di una passione mai consumata e comunque mai sopita. In tutto questo, se Tony Leung (assiduo collaboratore del regista) risulta del tutto convincente nel ruolo principale, l’autore ha trovato in Zhang Ziyi una protagonista ideale: la sua tragica eroina che viene dal nord è infatti un personaggio che riempie la scena per luminosa presenza e notevole intensità.

The Grandmaster
The Grandmaster
Summary
"Yut doi jung si"; di Wong Kar-wai; con Tony Leung, Zhang Ziyi, Chang Chen, Wang Qingxiang, Zhao Benshan, Song Hye-Kyo, Julian Cheung, Cung Le; drammatico; Hong Kong, 2013; durata: 133'.
70 %
Voto al film
User Rating : 0 (0 votes)

About the author

Per informazioni più dettagliate sull'autore del blog (percorso di formazione, progetti lavorativi, contatti, etc.), vedere la pagina "Parlo di Me" nel menù.

Related Posts

1 Comment

  1. Assolutamente da vedere!

Leave a Reply to Marco Milone Cancel Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

AlphaOmega Captcha Cinematica  –  What Film Do You See?