Youth – La Giovinezza

Youth – La Giovinezza

In un elegante albergo ai piedi delle Alpi, Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel), vecchi amici alla soglia degli ottant’anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile. Il primo è un compositore e direttore d’orchestra in pensione, il secondo è invece un regista ancora in attività. Sanno che il loro futuro si va velocemente esaurendo e decidono quindi di affrontarlo insieme. Guardano con curiosità e tenerezza alla vita confusa dei propri figli, all’entusiasmo dei giovani collaboratori di Mick, agli altri ospiti dell’albergo, a quanti sembrano poter disporre di un tempo che a loro non è dato. E mentre Mick si affanna nel tentativo di concludere la sceneggiatura di quello che pensa sarà il suo ultimo e più significativo film, Fred, che da tempo ha rinunciato alla musica, non intende assolutamente tornare sui propri passi. Ma c’è chi vuole a tutti i costi vederlo dirigere ancora una volta e ascoltare le sue composizioni.

Ritrovatosi nella non facile condizione di dover soddisfare l’immensa attesa suscitata dai trionfi ottenuti con il precedente La Grande Bellezza (Oscar 2014 come miglior film straniero), Paolo Sorrentino continua con coerenza il suo personalissimo itinerario senza ridurre le sue ambizioni, generando quindi con questo suo settimo film (il secondo in lingua inglese dopo This Must Be the Place) reazioni nuovamente contrastanti da parte di critica e pubblico (che ad ogni modo sta comunque rispondendo benissimo). Ancora una volta, a far discutere è principalmente il suo approccio dialettico tra forma e sostanza, o meglio quell’assillo stilistico che peraltro è ormai diventato uno dei più riconoscibili tratti distintivi del suo cinema: i detrattori (per lo più italiani) l’hanno infatti additato come maschera di artificiosa futilità di fondo, mentre per coloro che l’hanno apprezzato o ancor prima applaudito al festival di Cannes (dov’era in concorso con altri due film italiani, anch’essi rimasti senza premi) rappresenta invece una dimostrazione di come talvolta (e vari cineasti geniali lo hanno dimostrato) un’ossessiva elaborazione formale, se spinta alle estreme conseguenze, possa in effetti generare significato. Per chi scrive, la tendenza è di nuovo quella di appoggiare i secondi, anche perché nell’attuare una sorta di estremizzazione del suo linguaggio filmico, Sorrentino non intende addomesticare la magniloquenza e i virtuosismi che solitamente ne definiscono la personale cifra stilistica per sottometterli alle esigenze della narrazione, ma piuttosto sublima tali caratteristiche attraverso le suggestioni e le allegorie di una messa in scena che nel suo impianto ondivago fa peraltro il paio con la stratificata ricchezza umanistica del contenuto; applicando quindi il tono lieve e rapsodico di This Must Be the Place alla struttura sedimentaria de La Grande Bellezza e circoscrivendo il tutto nell’ambiente più intimo di un hotel sulle Alpi svizzere (con tanto di riferimento esplicito e quindi non causale a La Montagna Incantata di Mann), l’autore coglie infatti vibranti e profondi stralci esistenziali sospesi tra picchi altissimi e vertiginosi crolli, alternando così ipnotici virtuosismi visivi a dialoghi talvolta didascalici, aperture poetiche a situazioni grottesche, leggera ironia ad amaro disincanto, letterari aforismi definitivi a sottili finezze celate in sottotesto. Forte di tale coerente abilità d’assemblaggio visionario e insieme corporale, nel trattare il difficile e rischioso tema della vecchiaia (gravato da illustri precedenti non solo in ambito letterario o cinematografico), Sorrentino si muove così tra ambientazioni tendenti alla rarefazione ed improvvisi scarti di tono che vanno da incursioni nel sublime a divagazioni sconfinanti nel surreale, dimostrando ancora una volta l’intenzione di voler guardare oltre a ciò che ci viene mostrato, come cercando di esprimere l’enigma dello stare al mondo. Nel dipingere in tal modo i contrasti e le esperienze dei suoi magnetici protagonisti, l’autore li segue e li scruta concentrandosi sui tratti materici del deteriorato e sulla connessa rappresentazione dei corpi (tema a lui non nuovo), evitando però la compiaciuta morbosità a favore di una rarefatta stupefazione, facendo scaturire impressioni e sensazioni da piccole ma pregnanti epifanie come il riflesso nelle posate del viso pesantemente truccato di una grande Jane Fonda (apparizione fugace e stridente quanto feroce e fulminante) o la folgorante trasfigurazione di Maradona (interpretato dal “sosia” Roly Serrano, con tanto di allusivo tatuaggio di Marx sulla schiena) che, pur quasi grottesco nella sua goffaggine claudicante, si dimostra capace di un quasi magico palleggio iperbolico con una pallina da tennis; allo stesso modo, inanellando così innesti umani ed immagini evocative, Sorrentino procede per ambivalenze e contrapposizioni, mitigando ad esempio le aperture poetiche degli scenari pastorali (l’intensa sequenza in cui Fred dirige i suoni della natura come un’orchestra) con i tentativi di altri personaggi (come il gruppo di giovani sceneggiatori, o la figlia incompresa e abbandonata interpretata da un’ottima Rachel Weisz) di riportare i due anziani protagonisti alle loro consapevolezze, alle loro responsabilità e al peso di quell’eventuale lascito umano che può generare reazioni opposte o complementari: infatti, nella definizione di caratteri che l’autore suggerisce con una malinconica leggerezza venata di insolita pietà affettuosa, se da una parte Fred si lascia attraversare dall’esistenza (vivendo in una distante accettazione che non gli garantisce una sicura felicità ma perlomeno può dargli una certa pace), dall’altra Mick tenta invece di rifiutarla, cercando piuttosto di piegarla al suo disegno (peraltro esprimendo più di tutti l’immancabile suggestione felliniana, con tanto di palese e mirato riferimento ad 8 1/2). Eppure, se in definitiva (come sostenuto dal giovane attore in crisi travestito da Hitler, interpretato da un sempre più maturo Paul Dano) tra orrore e desiderio è davvero il secondo quello che vale la pena raccontare, allora forse la risposta sta al di là, ovvero nell’abbandonarsi al piacere dei sensi; un po’ come accade ai due amici alla vista di una bellissima giovane completamente nuda che entra in piscina (Madalina Ghenea, che non per niente interpreta Miss Universo), o magari proprio come lo spettatore davanti a questo film ambizioso ma non altero, la cui avvolgente ed ammaliante componente figurativa (grazie al contribuito determinante dell’avvolgente fotografia di Luca Bigazzi) contribuisce ad alimentarne l’attinente registro contemplativo, assecondato da un ritmo interno che, pur intonandosi alla musica classica che lo attraversa, a tratti pare invece accordarsi a quello di una partitura jazz fatta di strappi imprevisti e improvvisi cambiamenti di tono. Anche a questo proposito, il titolo apparentemente antitetico di questo film dedicato a Francesco Rosi e sostenuto da magnetiche performance di grandi interpreti internazionali (superbo ed emozionante Michael Caine, ma l’efficace Keitel non gli è da meno) appare quindi in realtà decisamente calzante: perché pur filtrato in un discorso sullo sfiorire del corpo e della memoria connesso alla caducità della vita e all’ineluttabilità della morte, Youth è comunque in realtà anche un film su ciò che resta del tempo, su un passato inscindibile dal presente e insieme determinante per un futuro che può rappresentare una nuova libertà, sulla rievocazione di quelle passioni e quelle ispirazioni di gioventù che, radicate nei ricordi, si vorrebbero prolungare nei domani che rimangono, ma anche sull’importanza degli affetti e sull’effetto della creazione artistica, come interrogandosi se l’una o l’altra possano davvero lasciare qualcosa di noi anche quando il tempo finisce. E allora magari quel che resta da fare è quindi continuare ad agire nel presente, guardando indietro per poter seguitare a protrarsi in avanti; perché in questa realtà così satura di rimpianti, inadeguatezze, sconsolate nostalgie e piccole-grandi bellezze, se in un certo qual modo potremmo anche tutti quanti non essere altro che evanescenti comparse, d’altra parte rimane comunque la vecchia o nuova consapevolezza del continuo trascorrere di un’esistenza sospesa o in evoluzione, effimera o concreta, nella quale forse “le emozioni sono tutto ciò che abbiamo”.

Youth - La Giovinezza
Youth - La Giovinezza
Summary
“Youth”; di Paolo Sorrentino; con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Mark Kozelek, Alex MacQueen, Robert Seethaler, Luna Zimic Mijovic, Tom Lipinski, Ed Stoppard, Madalina Ghenea, Sonia Gessner; drammatico; Italia/ Francia/ Svizzera/ G. B., 2015; durata: 118’.
70 %
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