L’ora più buia

L’ora più buia

- in Film 2017, Recensioni
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1940. Mentre le forze alleate continuano a raccogliere sconfitte contro le truppe naziste e l’esercito britannico è arenato in Francia, l’ormai sessantacinquenne Winston Churchill (Gary Oldman) riceve con grande urgenza l’incarico di formare un nuovo governo in sostituzione del dimissionario Neville Chamberlain, rivelatosi troppo debole per salvaguardare la sicurezza in un momento così delicato. Mentre l’esercito tedesco avanza minacciando un’invasione del Regno Unito, il neo Primo Ministro inglese si trova quindi nella condizione non solo di dover fronteggiare le trame interne del partito e gli scetticismi di Re Giorgio VI (Ben Mendelsohn), ma anche di scegliere se negoziare una pace apparente con la Germania nazista in nome della tutela del Paese o combattere contro un destino che pur si mostra avverso per continuare a difendere gli ideali della nazione. Così, sostenuto dalla moglie Celementine (Kristin Scott Thomas) e supportato dalla giovane segretaria Elizabeth (Lily James), Churchill tenterà di mobilitare il popolo britannico con l’ambizione di accendere una speranza nell’oscurità e cambiare il corso della Storia.

Dopo l’inatteso passo falso con il poco riuscito fantasy Pan, l’inglese regista Joe Wright torna nel terreno che gli è più congeniale con questo nuovo dramma in costume per il quale, nel rievocare quelle prime settimane da Primo Ministro che contribuirono a fare di Churchill una delle figure più emblematiche, carismatiche e controverse del Novecento, adotta un approccio per certi versi più prossimo alla sua precedente trasposizione di Anna Karenina; se in quest’ultimo puntava su un escamotage meta-teatrale per riflettere negli artifici della messa in scena quelli di una società similmente sontuosa quanto decadente, stavolta opta per un calzante impianto da cinema da camera per raccontare il dietro le quinte di quella pagina di Storia che (già sfiorata dallo stesso Wright con il lungo e notevole piano-sequenza in Espiazione) è rievocata quest’anno anche in Dunkirk del compatriota Christopher Nolan, di cui questo film potrebbe rappresentare una sorta di corrispettivo antitetico: mentre in quel caso si mostrava la battaglia effettiva sul campo attraverso una narrazione frammentata e dal respiro corale basata principalmente sulle immagini e animata dall’eroismo di individui comuni, qui invece ci si concentra sulla lotta politica che si disputò in parallelo ripercorrendone le fasi in un racconto dalla struttura lineare snodato quasi esclusivamente in interni e veicolato principalmente dai dialoghi per focalizzarsi su un’unica personalità di eccezionale importanza. Infatti, assecondando la sceneggiatura scritta senza guizzi ma con perizia e mestiere dal drammaturgo neozelandese Anthony McCarten, nel tracciare il ritratto di colui che fu anche tra più grandi oratori della sua generazione il regista si affida non a caso innanzitutto proprio alla parola per farne il vero motore di un’azione in cui proprio per questo anche la puntuale dose di retorica si integra senza troppo infastidire, scandendone e modulandone il tono in pur sottile altalena tra passaggi di vibrante tensione, momenti di umana leggerezza e coinvolgenti soprassalti epici. A questo proposito, se ciò trova il suo culmine nel celebre discorso finale in Parlamento, esemplare è anche la sequenza della metropolitana, in realtà frutto di invenzione ma funzionale ai fini dell’esaltazione di una ridondanza declamatoria che nel fomentare con la forza del singolo il sentimento collettivo si fa consapevole sintesi tra linguaggio politico e cinematografico palesando le efficaci astuzie di entrambi in una sintesi calzante, coerente e piuttosto coinvolgente. Nel trattare in ciò anche il tema del compromesso tra battaglia individuale e bene comune (intrecciato a quello tra ragione e ideali), il film fa quindi leva sull’aura carismatica del suo protagonista non senza un occhio di riguardo per il suo costitutivo conflitto personale tra pubblico e privato, mostrandolo mentre si scambia ironiche tenerezze con la moglie oppure tuona i suoi ordini negli angusti ambienti del gabinetto di guerra dove si fa la Storia. Tallonandolo così in tali ambientazioni che i contrasti e le penombre dell’efficace fotografia del francese Bruno Delbonnel rendono cupi e angosciosi come il relativo momento storico, rievocato con perizia anche grazie ad altri preziosi contributi a livello figurativo e sonoro (dalle scenografie di Sarah Greenwood ai costumi di Jacqueline Durran fino alla colonna musicale di Dario Marianelli), in tutto ciò Wright conferma inoltre la sua buona padronanza nell’orchestrare una messa in scena solida e rigorosa ma appunto non priva di intuizioni e sfumature: anche a questo proposito, si veda ad esempio la sequenza della telefonata privata di Churchill al presidente Roosevelt nella quale, dalla tensione crescente di un primo piano che si stringe sempre più sul viso del protagonista speranzoso di ottenere un aiuto si passa alla ferma desolazione di un campo lungo per restituirne il conseguente senso di isolamento quando realizza che ciò non sarà possibile, mostrandolo infatti nell’angusta cabina al centro dello schermo circondata dall’oscurità in cui si ritrova in solitario a dover decidere il destino di un intero Paese. A dargli l’acqua della vita, supportato da comprimari di livello (tra cui spiccano soprattutto Kristin Scott Thomas nei panni della severa ma amorevole moglie Clementine e Ben Mendelsohn in quelli del riluttante Re Giorgio VI), è un grande Gary Oldman il quale, sfoggiando una recitazione d’alta scuola che va oltre la pur eccellente devozione mimetica (coadiuvata dall’elaborato make-up che lo rende quasi irriconoscibile) offre infatti una performance poderosa ed emozionante, certamente tra le migliori dell’anno e non a caso premiata con l’Oscar (insieme appunto al trucco).

L'ora più buia
L'ora più buia
Summary
"Darkest Hour"; di Joe Wright; con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James, Ben Mendelsohn, Stephen Dillane; G.B., 2017; durata: 125'.
60 %
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